Inter: ma il timone, chi ce l’ha?

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interDovrebbe tenere banco la serata di ieri, con la vendetta di Guardiola sul ‘suo’ Barcellona e la faticaccia del Napoli in Turchia; dovrebbe essere evidenziata la serata di oggi, con la Juventus a un passo dagli ottavi così come il miracoloso (fuori confine) Leicester di Ranieri. Già dovrebbe essere così. Ma qui non ci si riesce a togliere dalla testa la questione Inter.

I nerazzurri, comunque, non sono del tutto fuori tema: domani si giocheranno una discreta fetta delle speranze residue di restare in Europa League. Ma c’è da battere il Southampton. A casa loro. E stiamo parlando dell’Inter. Di questa Inter. Di una creatura senza capo e con troppa coda, per qualcuno di paglia. Parliamo di una società che ha chiuso i conti con De Boer prima ancora di prendere in mano carta e penna e che, nella settimana più cruciale possibile, non ha ancora bene chiaro in testa chi sarà il successore.

Come può non tenere banco proprio l’Inter, con certe premesse? Al momento il traghettatore è Vecchi, allenatore della Primavera. Quello che, ed è un parere personale, peggio incarna l’antico spirito aristocratico nerazzurro (sarà per l’atteggiamento ai limiti della strafottenza nella finale di Coppa Italia Primavera della scorsa stagione? Sì. Riguardare, per credere, l’epilogo della gara giocata a San Siro contro la Juventus). Questo però è ciò che al momento passa il convento cinese.

Già, i cinesi. Suning. Quelli che dovevano sbarcare lanciando denari, estraendo dal cilindro giocatori di livello e panacee di tutti i mali. Per carità, ironizzo a beneficio (o maleficio, fate voi) di coloro i quali avevano davvero pensato che bastasse una manciata di mesi per trovare la quadra. Non scherziamo. Il calcio è una cosa semplice, la gestione di un Club – comunicazione, organizzazione, esecuzione – non lo è.

Eccolo lì, il nodo. La gestione. Soprattutto organizzare, comunicare e decidere. Ecco perché il nome del successore di De Boer ancora balla in mezzo alle carte di identità di Stefano Pioli e Guus Hiddink. Il primo è spinto dalla quota italiana dell’Inter (Ausilio e Gardini), in accordo con buona parte dello spogliatoio (forse non Candreva, và…). Il secondo, tra l’altro ancora olandese, piace a Suning per il profilo internazionale. Thohir non si pronuncia, si sa solo che non vuole Mancini. Moratti vorrebbe Leonardo. Blanc si auto candida un giorno sì e l’altro pure. E la squadra, intanto, vola verso l’Inghilterra con una guida a tempo, sperando di salvare il salvabile.

Non è facile prendere velocemente una qualunque decisione quando chi dovrebbe farlo è un tronco diviso in tre parti: Milano, Nanchino, Giacarta. A parte le esorbitanti bollette telefoniche, di concreto non c’è molto altro. Servirebbe sedersi velocemente intorno a un tavolo e spremere le meningi. E chi può imporre risolutezza, diamine, lo faccia. Il recente dramma dei cugini rossoneri dovrebbe avere insegnato qualcosina anche dall’altra parte del Naviglio. Quando a decidere ci sono troppe persone o non ne esiste alcuna, il risultato è sempre lo stesso: un disastro.

Già mezzo danno lo aveva fatto Thohir segando, di fatto, Mancini a dieci giorni dal via. Il patatrac quasi definitivo è stata la scelta di De Boer, uno che aveva allenato solo in patria e il cui proverbiale integralismo tattico cozzava già a monte con il calcio italiano e con il poco tempo che di solito viene concesso un allenatore. Ora il colpo di grazia potrebbe darlo un solo dettaglio: decidere di continuare a non decidere. Come con De Boer: prima ignorato, costretto a essere il solo a metterci la faccia, poi difeso per finta a due giorni dall’esonero. Povera Inter.


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