Juventus: le ragioni della sesta sinfonia tricolore consecutiva

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Basterebbe scrivere una sola parola: programmazione. Poi però ci si rende conto che sì, la programmazione è fondamentale per costruire un ciclo duraturo e raggiungere gli obiettivi, ma senza un’ossatura di uomini fuori dal comune non sempre ci si riesce. Per questo la Juventus è entrata nella leggenda, al di là dell’impresa fatta di 6 scudetti consecutivi cuciti sulle maglie, cosa mai riuscita a nessun Club italiano prima di ieri pomeriggio; la Vecchia Signora ha saputo dare vita al giusto mix tra programmazione maniacale, cura dei dettagli e scelta dei giusti interpreti. Dallo staff tecnico a chi scende sul terreno di gioco.

Come ha suggerito Marotta, quello che ha fatto la Juventus in questi 6 anni è sostanzialmente irripetibile. Non esiste certezza sul futuro, ma sono dovuti passare 82 anni (dal quinquennio d’oro bianconero targato soprattutto Carcano, con la Juve Campione d’Italia dal 1930 al 1935) prima di riscrivere la storia del calcio nostrano. Non deve dunque stupire l’orgoglio con la maiuscola di Buffon, assoluto protagonista della rinascita: dalla retrocessione in Serie B alla risalita, passando per la ricostruzione, arrivando alla leggenda. Giusto 10 anni: 10 come gli scudetti conquistati sul campo da Buffon in 16 stagioni a difesa dei pali della Juventus. Leggenda dentro la leggenda; una leggenda che potrebbe assumere contorni epici se il 3 giugno, nel teatro di Cardiff, giungesse anche l’acuto più importante, cioè quella Champions che manca a Torino dal 1996.

I detrattori proseguiranno con la solita tiritera: eh, ma la concorrenza è quella che è; eh, ma con la bilancia degli errori arbitrali a favore che pesa dal proprio lato è tutto più facile; eh, ma da Calciopoli è cambiato poco. E via di questo stucchevole passo. La verità è che con Marotta, Paratici, Nedved e Andrea Agnelli, piacciano o meno, la Juventus ha ritrovato quello stile, quel rigore e quella disciplina che sono indispensabili per costruire cicli vincenti e duraturi. Un’altra verità è che conquistare 6 titoli di fila nel nostro campionato, per quanto si possa sproloquiare, non è facile. Tant’è che non era mai accaduto, anche con 3 rigori a favore per ogni partita, anche giocando ripetutamente in superiorità numerica.

La verità ultima è che la Juventus ha vinto così tanto (non vanno dimenticate anche le 3 Coppe Italia consecutive e, quindi, i 3 double delle ultime 3 stagioni) perché è di razza superiore: tatticamente, tecnicamente, mentalmente, ideologicamente. Da Conte ad Allegri è cambiato poco, eppure è cambiato tutto. Comune denominatore è stato il polso della dirigenza, che prima ha ripulito dopo la disastrosa gestione post Moggi, poi ha posto mattone su mattone le fondamenta per la rinascita. Non solo: Marotta & Co. hanno anche messo in pratica nel tempo l’arte dell’investimento. Le parole stizzite di Conte (“Non mangi con 10 euro in un ristorante da 100 euro”) portarono plausibilmente alla riflessione. Uno dei meriti dell’attuale tecnico del Chelsea è stato proprio l’aver portato Marotta e Paratici a interrogarsi; i frutti si vedono, Allegri ne ha in parte beneficiato e in parte (una gran parte) ci ha messo del suo.

Il primo assoluto protagonista della leggenda bianconera è proprio Max Allegri: fin qui 4 scudetti (1 con il Milan e gli ultimi 3 con la Juve in altrettanti anni), 3 Tim Cup e 2 Supercoppe italiane. Nel mirino la Champions League, sfuggitagli nel 2015. Non si disputano per pura buona sorte 2 finali di Coppa Campioni in 3 stagioni, ci si riesce se si è un fine tattico e un grande psicologo. E lui ha dimostrato di saper fare bene entrambe le cose: dal cambio di modulo al caso Bonucci, Allegri ha confermato le sue doti e ribadito che lo scetticismo del popolo bianconero al momento del suo arrivo fu fuori luogo. La società lo ha appoggiato in tutto, lo ha difeso e incoraggiato. E questi sono i risultati.

Allegri, tuttavia, avrebbe potuto poco senza il suo team (Landucci in primis) e senza un gruppo di giocatori intelligenti, capaci di risolvere le partite e di sacrificarsi per la squadra. Da Bonucci a Chiellini, passando per la rivelazione Cuadrado, arrivando a Mandzukic (incredibile per abnegazione nelle due fasi di gioco e per resistenza fisica), concludendo con i gioielli argentini Dybala (18 reti stagionali e tanta, tantissima qualità in fase di impostazione) e Higuain (32 timbri totali e una fame di successo granitica). Senza dimenticare Pjanic, un altro giocatore rispetto a quello intermittente visto con la maglia della Roma; o Barzagli, eterno ed esperto; o Khedira, metronomo non sempre abile e arruolabile, ma prezioso; o gli esterni brasiliani Dani Alves e Alex Sandro, il primo arrivato per il salto di qualità in Europa, il secondo che una volta esploso è diventato indispensabile.

Insomma, questa Juventus ha davvero la possibilità di ripetere l’impresa riuscita soltanto all’Inter nel panorama calcistico italiano: arrivare al Triplete. In parte questa Juve ricorda proprio il gruppo di Mourinho. E forse può valere la famosa legge non scritta dei 7 anni. Chissà.

 


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