Champions: squadre materasso e poche emozioni, era meglio prima?

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championsQuestioni di Champions. Esistono appassionati nostalgici e appassionati progressisti. In mezzo, un ibrido di cultori conservatori. Chi rivorrebbe indietro la vecchia Coppa Campioni domani mattina: solo i vincitori dei rispettivi campionati nazionali, gli altri si accontentassero della modesta Uefa e della più divertente Coppa delle Coppe.

Quindi, l’appartenente alla categoria degli ibridi conservatori, prende la parola: affascinante, certo, ma ormai impossibile. Va beh, dai, lasciamo le cose almeno come stanno, con 32 squadre (54 ai blocchi di partenza dei preliminari) a giocarsela fino in fondo. Però, fa eco il progressista, pensa che bello se allargassero ancora di più la formula, come Infantino sta pensando per i Mondiali: immagina quante partite in più da vedere sulla televisione satellitare!

Ora, non c’è chi ha torto o ragione. C’è un tempo storico da valutare, ci sono conti da fare, bilanci da considerare, ranking da spulciare. Tuttavia, qualche considerazione la si può anche tentare, così, senza voler prendere una posizione definitiva. Per esempio, facciamo dei nomi: Brugge e Dinamo Zagabria. Perché loro? Facile, sono le uniche due squadre ad avere ancora la casella punti ferma a zero, dopo cinque partite giocate nei rispettivi gironi. Potremmo farne altri, di nomi, tipo il Psv, nobile decaduta con un solo punto nel Gruppo D, o il Celtic, Club blasonato ma fanalino di coda con due punticipi nel Gruppo C.

Potremmo considerare, per un attimo, la gara giocata martedì tra Borussia Dortmund e Legia Varsavia, quel mostruoso 8-4 che non ha precedenti nella formula moderna della Champions, ma ne possiede uno molto simile perso tra il bianco e nero del 1960: Real Madrid contro Eintracht Francoforte, 7-3 per gli spagnoli. Ed era la finale. Potremmo anche mettere sotto la lente di ingrandimento la sconfitta clamorosa del Bayern Monaco sul campo del modesto Rostov (3-2 per i russi). Però, insomma, Ancelotti era già qualificato e, Barcellona a parte, potrebbe anche andargli bene restare secondo dietro l’Atletico Madrid.

Come già scritto, non c’è chi ha ragione o torto. Nostalgici, progressisti e conservatori hanno tutti un punto di vista rispettabile per quanto riguarda il formato della Coppa europea più importante. Prediligere il cuore o lo spettacolo, l’equilibrio tattico o la bellezza tecnica, la velocità e il fisico o l’intelligenza calcistica importa relativamente. Quello che più conta è che, siano trenta o cento squadre, si trovi ancora spazio per le emozioni forti. Quelle che soltanto il trofeo dalle grandi orecchie sa regalare in una certa quantità. Tanto nel 1960 con 27 Paesi in campo, quanto oggi giorno con la calcolatrice in mano.


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