Belotti-Toro: cuore puro alla Riva, forse è nata una bandiera

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Coi paragoni bisogna andarci piano, certo. Non si deve, poi, mai dimenticare l’epoca calcistica nella quale viviamo, l’assurda bolla economica in costante rialzo dentro cui valore e ingaggio dei giocatori lievitano in continuazione (talvolta senza un senso oggettivo). E, non ultimo, mancano ancora circa due giorni alla chiusura del mercato estivo 2017, perciò potremmo anche essere smentiti piuttosto in fretta. Ma in testa ci è frullata questa immagine: Gigi Riva, ex team manager della nazionale italiana e campione d’Italia con il Cagliari nel 1970, che incontra Andrea Belotti e lo abbraccia; la schiettezza cristallina e coerente di Rombo di Tuono che impatta la stessa – forse ancora acerba – del Gallo. Da lì, interrogarsi sul possibile futuro di Belotti è stato un attimo.

Saremo pure degli inguaribili romantici, ma il punto è che ancora crediamo nella possibilità delle bandiere. Chiaro che, a oggi, è facile pensare “Totti è stata l’ultima delle bandiere” oppure “ci resta Buffon, magari Hamsik”, o ancora “ormai comandano soldi e incoerenza”. Vero, però fino al tempo presente. Ci saranno, tra i giovani emergenti, uomini di principio che tra qualche anno al classico bivio anteporranno gratitudine, amore e coerenza al dio denaro. O no? Ecco: può darsi che tra questi ci sia anche Andrea Belotti, erede quasi naturale di Gigi Riva, che ai soldi della Juventus preferì Cagliari, contribuendo fortemente al primo, unico e probabilmente irripetibile tricolore sardo.

Ribadiamo che con i paragoni è meglio non giocare troppo, si rischia di farsi male. Tuttavia i profili di Belotti e Riva, più per ragioni morali e caratteriali che non tecniche, ci sembrano molto affini. Sarà l’essere schivi, silenziosi, eppure capaci di una schiettezza mai banale quando aprono bocca nei momenti cruciali; sarà perché le loro rispettive radici distano appena 125 chilometri (parola di Google Maps), tanti ne vanno da Leggiuno a Calcinate; sarà dunque l’aver ereditato, sebbene in tempi molto diversi, la praticità lombarda radicata pressoché ovunque nella regione. Sarà, poi, che il linguaggio preferito di entrambi è sempre stato il gol.

Riva attirò in fretta, dopo gli esordi a Legnano, le attenzioni del Cagliari militante in Serie B. Belotti, cresciuto nel vivaio dell’Albinoleffe, convinse il Palermo a puntare su di lui per il ritorno in Serie A. Un inizio simile e l’approdo su isole molto diverse: in Sardegna Riva trovò la sua seconda casa e non la lasciò più, Belotti invece si è spostato ancora, ma trovando un’isola più grande, almeno dal punto di vista emotivo: Torino e il Torino. Vestire granata, chiedetelo a qualunque ex giocatore, ha sempre significato dover dare qualche cosa in più, perché l’eredità del Grande Toro, la memoria, gli echi, beh, non si possono spegnere nemmeno con retrocessioni e mezzi fallimenti. Belotti incarna perfettamente questo senso di lotta taurina, una predisposizione al sacrificio e alla battaglia che crescono partita dopo partita, stagione dopo stagione.

Il Gallo ha appena 23 anni, eppure nei numeri ha già fatto meglio di Riva che, alla stessa età, aveva messo a segno una decina di gol in meno nel massimo campionato. Tempi diversi e meno partite in quegli anni, certo, ma qualche indizio sulla prospettiva di Belotti c’è già. Il gol in rovesciata di domenica scorsa contro il Sassuolo (simile, tra l’altro, all’acrobazia dello stesso Rombo di Tuono del 1970, vittima il Vicenza), è il sintomo della voglia che il giocatore ha di migliorare anche dal punto di vista tecnico e di prendersi definitivamente il posto da titolare in Nazionale. Se poi dovesse vincere un Europeo e arrivare secondo a un Mondiale – tipo il prossimo -, avrebbe già copincollato buona parte della storia di Riva. Ma questi sono solo voli pindarici.

A noi restano la sensazione e la speranza che Belotti possa davvero fare la storia futura del Torino. Vero che la clausola da 100 milioni non vale e non varrà ancora molto finché ci saranno in circolazione sceicchi, cinesi e russi, tuttavia non è stato soltanto Cairo a dire no a Milan, Chelsea e Monaco. Belotti è voluto rimanere agli ordini di Mihajlovic, convinto e contento di essere al centro di un progetto ambizioso. Soprattutto non è mai stato distratto dalle voci di mercato: prima il silenzio pacato e cordiale, poi i fatti sul campo con 3 reti in 3 gare ufficiali (2 in Coppa Italia e la meraviglia contro il Sassuolo). Siamo inguaribili romantici, verissimo, per questo nella testa ci frulla un’altra immagine: il Torino che festeggia l’ottavo scudetto, dopo magari mezzo secolo, nel nome della nuova bandiera Andrea Belotti. Potremo essere smentiti, nel frattempo lasciateci sognare in pace.

 

 


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