Milan: Berlusconi, i dubbi e i rumors cinesi

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MilanEusebio Di Francesco, allenatore del Sassuolo, non aveva tutti i torti.

Paolo Maldini, leggenda rossonera, nemmeno.

Cristian Brocchi, guida tecnica del Diavolo – forse ancora per poco -, è d’accordo ma non si può sbilanciare e fa buon viso a cattivo gioco.

Al Milan c’è confusione. Tanta. Troppa. Da troppo tempo.

Nel consueto balletto di fine stagione, in quella specie di rave di idee su chi arriva e chi va, viene da chiedersi cosa ne possa pensare Unai Emery, il mago di Siviglia, più volte accostato alla società di Via Aldo Rossi. Già, perché in queste ore il suo nome è tornato prepotentemente alla ribalta dalle parti di Milanello: una discreta fetta della stampa italiana si dice certa che Emery abbia già dato la propria disponibilità a trasferirsi al Milan.

Oddio, ci sarebbe un piccolo dettaglio da sistemare: la clausola rescissoria che il Milan dovrebbe versare nelle casse del Siviglia (1,5 milioni di euro entro il 30 giugno). Oddio, ci sarebbe anche un’altra postilla da considerare: pare che Emery si sia convinto grazie al sontuoso e cospicuo progetto cinese per il Diavolo che verrà. Qualcuno parla addirittura di 200-300 milioni già in partenza da Pechino per essere immessi sul mercato estivo del Milan.

Siamo sicuri di tutto questo?

Di una cosa sì: Silvio Berlusconi e il suo trentennale giocattolino hanno in mano un’esclusiva firmata che scadrà il 15 giugno. Firmata con chi? Presto detto: con l’advisor italo-americano Sal(vatore) Galatioto, Presidente della omonima Galatioto Partners Sport, società leader in finanza sportiva e consulenza aziendale. Costui ha nel curriculum circa 70 operazioni in veste di advisor, tra le quali spicca quella per la vendita di Golden State Warriors,  prestigiosa franchigia del basket statunitense. Mica l’ultimo arrivato. Galatioto è o sarebbe il consulente che ha convinto una non meglio precisata cordata cinese a puntare l’obiettivo sul marchio Milan.

Da un lato, dunque, la comprovata serietà professionale dell’italo-americano, ma dall’altra una fitta nebbia in cui è difficile orientarsi. Chi sono veramente gli investitori cinesi? Esiste una cordata? Quali sono i piani reali per il futuro del Milan? Mister X o Mr. Bee non ne vorremmo più, grazie. Vorremmo, al contrario, nomi veri. Nomi concreti. Identità verificabili.

Stando a quanto rivelato da Berlusconi, un paio di uomini in carne e ossa esiste, come esisterebbero anche i capitali personali dei due, vicini ai 10 miliardi di dollari. Però si sa: quando Silvio dice, tutto va preso con le pinze. Basti pensare alle vane promesse di un Milan giovane, di una squadra da ricostruire in prospettiva futura (disco rotto dal 2009, riproposto ora come salvagente casomai i fantomatici investitori si dileguassero nella notte). Berlusconi, tuttavia, ha fatto intendere qual è la vera verità: della decina di investitori consultati, nessuno si è detto disposto a iniettare istantaneamente liquidità per rifondare la squadra. Ed è perfettamente nota l’ossessione presidenziale per un Milan che possa tornare competitivo, specialmente in Europa. Perciò di cosa stiamo parlando? Chiaro che su certe basi, forse il ragionamento di un Milan giovane e fatto in casa ha senso. L’unico senso percorribile. Persino da Berlusconi.

Le sole notizie che i più considerano certe, non riguardano soltanto il profilo del tecnico di cui abbiamo accennato. Pare che la Cina milanista vorrebbe una nuova governance: via il mostro a due teste Galliani-Barbara, che tanto bene ha fatto sotto il profilo del marketing, ma che dal punto di vista tecnico ha seminato terrore. Però, scusateci: non serve che arrivino emissari cinesi per suggerire quello che qualunque potenziale acquirente sano di mente pensa già. Che il Milan del doppio governo interno non abbia funzionato e non funzioni, lo sanno anche quelli che s’intendono solo di uncinetto. Così come sanno che serve un progetto, una linea chiara che vada dall’alto al basso, una comunione di intenti che ricompatti tutto l’ambiente. Si deve sapere chi comanda.

No, decisamente Maldini non aveva torto.


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