Guardiola e il lungo addio al calcio: ecco perché non ci stupiamo

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Guardiola padrone della Premier LeagueSe vi domandassimo di definire Pep Guardiola in una sola parola, probabilmente usereste in molti il sostantivo ‘filosofo’. Un po’ perché un’etichetta è per la vita, un po’ perché l’attuale tecnico del Manchester City davvero ha il fare del saggio pensatore, del teoreta. Anzi: lo è. Non sono pose, quelle di Guardiola. L’allenatore catalano riflette prima di parlare, forse rimugina anche troppo, chissà. Ma quando apre bocca, è a ragion veduta.

Per questo non stupì poi troppo il suo addio al Barcellona dopo appena 4 anni e 14 trofei (Guardiola resta il tecnico più vincente di sempre della storia blaugrana); come non parve anomalo il seguente anno sabbatico prima dell’avventura tedesca alla guida del Bayern Monaco. E a posteriori non sembra strano che da giocatore, al termine di 11 anni e 15 trofei con la casacca del Barça, Pep abbia scelto Brescia, una piazza dove si lottava quasi sempre e solo per non retrocedere – ma con Roberto Baggio accanto.

Insomma, scelte che dal di fuori possono risultare impopolari, forse oscure, controcorrente. Magari sono tutte queste cose insieme. Ma confermano quel che dicevamo prima: Guardiola apre bocca soltanto quando ha qualcosa di importante da dire; nel dubbio, tace. La sua filosofia, almeno nel lavoro, è questa. E va da sé che, a ruota, il suo modo di pensare si riversi nella vita privata. Ecco perché, per la volta ennesima, non lasciano interdetti le sue ultime parole alla NBC: “Starò a Manchester per le prossime tre stagioni o forse di più, ma mi sto comunque avvicinando alla fine della mia carriera da allenatore, ne sono sicuro. Non starò in panchina fino a 60 o 65 anni. Quello che sento è che la fase che porta al mio addio è un processo già iniziato”.

La qualità della vita prima di tutto. Noi vogliamo leggere questo tra le righe dell’intervista a Guardiola. Se ci si pensa, tutte le scelte che abbiamo elencato prima, andavano in quella direzione. Pare forse una contraddizione, considerando i lauti compensi, la possibilità di fare uno tra i lavori più ambiti e invidiati del Mondo. Ma si sa anche che i soldi non danno per forza la felicità; e che lo stress, se lo si metabolizza a fatica o male, può essere in grado di oscurare tutto il resto, perfino benefit che il 99,9% per cento dell’umanità riesce soltanto a sognare la notte.

Che Guardiola soffra lo stress, è innegabile. Lo dimostrò nel duello a distanza con Mourinho (quasi sempre vinto sul campo dal Barcellona, spesso appannaggio del portoghese a livello mediatico), ripropostosi quest’anno in Premier League ma con sfumature più annacquate rispetto al passato. Forse fu proprio quella logorante battaglia nella battaglia a indurre Guardiola allo stop di un anno. Anche 6 mesi di pressioni inglesi stanno minando la serenità che il catalano aveva pian piano ricostruito in 3 stagioni alle latitudini bavaresi, seppure l’onta di non essere riuscito a ripetere il triplete di Heynckes sulla panchina del Bayern lo deve aver fatto soffrire non poco.

Se tutto questo riguardasse un altro allenatore, magari un tipo proprio alla maniera di Mourinho, ci si potrebbe lasciar stuzzicare dall’idea di una provocazione studiata a tavolino, magari per un ritocco di ingaggio o per accentrare su di sé l’attenzione dei media in modo da lasciare in pace una squadra che rincorre il treno di quelle che ha davanti. Ma non stiamo parlando del fu Special One. Guardiola è in gran parte trasparente, i suoi occhi sempre a metà tra riflessione e malinconia dicono molto più di mille parole. C’è da credergli: il lungo addio è cominciato.


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