Juventus: in bilico tra rinascita e rifondazione, ma il gap è mentale

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Non è mai semplice partire di nuovo quando sulle spalle hai ancora un macigno; quando la delusione si fa sentire, bruciante, sulla carne viva. Non lo fu per il Milan di Ancelotti nel 2005, all’indomani dell’assurdo epilogo di Istanbul contro il Liverpool; non lo è oggi, a maggior ragione, per la Juventus di Allegri. Perdere due finali in tre anni, in modo oltretutto netto, è l’incipit peggiore per ritrovare le giuste motivazioni e tentare, ancora una volta, di essere più forte di una maledizione sportiva ormai ventennale; per cercare, in definitiva, il salto di qualità che ancora manca e che, in tutta onestà, sembrava potersi materializzare in questa stagione.

Triplete a parte, ossessione più giornalistica o a tinte nerazzurre che altro, la Juventus ha perso l’ennesimo treno per scrivere il proprio nome in grassetto sulla prima pagina del calcio continentale. E il fallimento dell’obiettivo più prestigioso passa inevitabilmente da una domanda: cosa manca ancora a questa squadra per mettere le mani sulla Coppa dalle grandi orecchie? Agnelli ha suggerito, nel post partita di Cardiff, qualcosa che fa rima con verità: in certe partite non puoi spegnere la luce 15 o 20 minuti. Vero. Al Milan di cui sopra ne bastarono 6 per finire in un baratro impensabile, ed era una squadra abituata a vincere in Europa. Quindi come può la Juventus, reduce da 7 k.o. su 9 finali di Coppa Campioni/Champions League, curare il gap mentale? Perché di questo si tratta, e lo hanno palesato un po’ tutti gli interpreti.

Al di là della superiorità conclamata del Real Madrid e dell’inesauribile fame di CR7, alla Juventus è mancato il fegato nei momenti chiave. Strano, detto così, dopo la reazione al primo vantaggio Blanco, eppure nel secondo tempo di Cardiff tutti, nessuno escluso, hanno lasciato il coraggio tra le mura degli spogliatoi. Da Allegri, che ha forse gestito con troppa pancia i cambi, a Buffon, che al secondo centro madridista ha fatto capire con gli occhi che i remi stavano per essere tirati in barca. Poi la B-B-C, spaesata come mai in questa annata; Khedira e Pjanic, soverchiati da Isco e Modric al punto da sembrare esordienti nella competizione; infine Dybala, ancora acerbo per certi appuntamenti, e Higuain, che con le finali ha un pessimo feeling.

Prendere esempio da quel Milan di Ancelotti si può. Nel 2007, due anni dopo la disfatta turca, la rivincita che andò in scena ad Atene dimostrò che gli uomini (praticamente gli stessi) avevano capito e fatto tesoro della lezione. La Juventus di Berlino è cambiata tanto da quella di Cardiff, ma il telaio è ancora pressoché il medesimo: non è servita del tutto la prima lezione, forse basterà la seconda. Allegri chiede un altro paio di rinforzi pesanti per la campagna europea, in più il tempo stringe per la carta d’identità della difesa. E, in aggiunta, vanno considerate le clamorose sirene parigine che riguardano il tecnico della Juventus: Max chiede a Marotta 8 milioni a stagione per restare, il Psg sembra disposto a metterne sul piatto 10 netti a stagione per portarlo nella capitale transalpina. Suggestione o verità che sia, questa è un’altra premessa che può minare i propositi di ripartenza bianconeri.


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