Chi pensa troppo perde, distrarsi è un valore: “come si vince una finale”, il vangelo secondo Pep

Di
Guardiola padrone della Premier League

Quando il Manchester City ha steso il Real Madrid con uno show che ha incantato il mondo e spedito la squadra di Pep Guardiola alla finale di Champions League contro l’Inter, Jack Grealish aveva già chiaro come i campioni d’Inghilterra avrebbero conquistato la coppa che manca loro per essere leggenda. “Quel genio del nostro allenatore ci dirà come vincere” aveva sentenziato l’esterno sinistro in una delle tante interviste tv sul prato dell’Etihad Stadium.

Quel genio di allenatore, quello che ha cambiato il calcio, però ha un difetto: a volte pensa troppo. Soprattutto quando si tratta di Champions League e di finali.

Pep è uno che fa della preparazione e della profonda conoscenza degli avversari una delle cose che la rendono unico. Al City quest’anno ha una squadra che segue un canovaccio preciso e gioca all’apparenza quasi sempre con gli stessi uomini, ma è con la sua abilità di capire cosa fa funzionare gli avversari e quali sono i loro punti deboli che Guardiola riesce a fare la differenza, inserendo nella sua squadra quel piccolo cambiamento tattico che serve per vincere. “Quando giochi contro il Manchester City non sai mai cosa aspettarti, perché Pep riesce sempre a cambiare qualcosa che li rende irriconoscibili” ha detto di recente Jürgen Klopp, che da tecnico del Liverpool si è spesso trovato a dover reagire ad aggiustamenti imprevisti del rivale. Guardiola è il primo ad ammettere che a volte, nel preparare una partita, finisce per pensare troppo. “Quando vinci ti dicono che sei un genio, quando perdi che hai sbagliato tutto. E io ho perso più di quanto abbia vinto, come i grandi dello sport”. È capitato che, studiando la soluzione migliore per battere gli avversari, Pep abbia stravolto così tanto la sua squadra che i suoi giocatori in campo non si siano ritrovati, finendo per togliere anche i punti di forza che avevano permesso di arrivare fin lì. Dopo i trionfi col Barcellona, i primi quattro anni di carriera sollevando due Champions in cui Pep era abbastanza dogmatico, overthinking, pensare troppo, è diventato uno dei suoi punti deboli nelle campagne europee col Bayern e col City, oltre che la critica principale che viene rivolta a un allenatore che ha comunque cambiato il calcio. “Non preoccupatevi, stavolta non ho pensato troppo — aveva detto ai giornalisti prima della partita di ritorno col Real — Ho cercato solo di fare in modo che la squadra potesse giocare meglio dell’andata con qualche piccolo aggiustamento”. Per come è andata quella sera all’Etihad, è evidente che aveva funzionato.


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