Coppa America al Cile: la dannazione di Messi è quella di Sisifo

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Messi-sconfitto-CileCile – Argentina 0-0 (4-1 d.c.r.)

Alla fine, la sola immagine positiva che rimarrà nella memoria di Leo Messi, a proposito della finale di Coppa America 2015 persa contro il Cile, è l’unico rigore trasformato nella fatale serie dagli undici metri che ha sancito la condanna dell’Argentina. L’ennesima, aggiungiamo: nell’arco di un anno solare l’Albiceleste è arrivata ad un soffio dal titolo mondiale e da quello continentale, restando però a bocca asciutta proprio sul più bello in entrambe le occasioni.

E se in casa cilena la festa è senza precedenti (mai La Roja aveva conquistato la Coppa America prima dello scorso sabato), dalle parti di Messi e compagni l’amarezza è infinita. Non soltanto perché la Copa manca in bacheca da ormai 22 anni (ultimo acuto nel 1993 in Ecuador, 2-1 al Messico), ma sopratutto per la dannazione che accompagna la Pulce da quando veste la maglia della Nazionale. Se si escludono il Mondiale Under 20 conquistato nel 2005 in Olanda e l’oro olimpico di Pechino 2008, il palmarès di Messi è una collezione di argenti: vice campione del Mondo in Brasile lo scorso anno, due volte secondo in Coppa America (oltre all’edizione appena conclusasi in Cile, la sua Argentina si piazzò sul gradino a metà del podio nel 2007 in Venezuela).

La carriera in maglia biancoazzurra di Messi somiglia maledettamente al mito di Sisifo, il fondatore di Corinto che, nella mitologia greca, viene punito da Zeus per la sua sagacia. Il sovrano degli Dèi condanna Sisifo a spingere un masso dalla base alla cima di un monte e, ogni volta che ne raggiunge la cima, il sasso rotola nuovamente ai piedi della montagna. Tutto questo per l’eternità. Messi spinge a fatica la sua Nazionale verso la vetta delle competizioni più prestigiose, ma ogni volta che intravede il cucuzzolo che fa rima con vittoria – e quindi consacrazione definitiva anche a livello planetario -, l’Albiceleste rotola a valle. Ogni volta Leo è costretto a ricominciare dal principio, in una parvenza di dannata eternità calcistica.

Pare un destino beffardo quello del pluri pallone d’oro blaugrana, sovrano in Europa, punito dagli Dèi del calcio non appena infila la Numero dieci della sua Nazionale. Forse lassù qualcuno ha il senso dell’umorismo e parteggia ancora apertamente per Diego Armando Maradona: il più forte giocatore dello scorso secolo è stato l’ultimo capitano argentino a sollevare la Coppa del Mondo, l’eredità toccata in sorte a Messi non è mai stata delle più leggere da affrontare. Magari un filo di pressione psicologica, a dispetto ormai della decennale esperienza, fa il suo nella testa del fuoriclasse piglia tutto con la maglia del Barcellona.

L’epilogo della premiazione a margine della finale di sabato sera, poi, è stato oggetto di un episodio che certifica – se mai ce ne fosse ulteriore bisogno – l’afflizione profonda di Messi. Mentre il capitano dell’Argentina camminava affranto intorno al terreno di gioco, gli sarebbe arrivata la comunicazione secondo cui, di lì a poco, avrebbe ricevuto il premio come miglior giocatore della Coppa America. Messi, come già accaduto dopo la finale con la Germania dello scorso anno, parrebbe aver dato risposta negativa: no, il premio non lo ritiro. In fretta e furia gli organizzatori avrebbero fatto sparire il trofeo dal palco (tesi avvalorata da alcune immagini nella quali si può vedere un addetto intento ad occultare qualcosa da uno dei supporti). Si può anche comprendere il disappunto del giovane uomo, il cui reiterato destino con la maglia dell’Argentina sembra una perversa persecuzione.

Coraggio, Leo, in fondo hai soltanto 28 anni; pazienza se Maradona a 26 era già Campione del Mondo. Di tempo ne hai ancora, e prima o poi la ruota dovrà pur cambiare giro. Magari dalla prossima edizione della Coppa America, quella del Centenario. Manca appena un anno.

 

 


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