I miti del calcio: Pierino Fanna

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I MITI DEL CALCIO: PIERINO FANNA

Pierino Fanna è stato uno di quei calciatori, che nel reparto offensivo facevano la differenza, per propulsione offensiva, fantasia e dinamismo. Dal carattere introverso, fu assieme a Giovanni Ferrari, Filippo Cavalli, Sergio Gori, Aldo Serena e Attilio Lombardo a conquistare lo scudetto con tre squadre diverse. Nel suo caso Juventus, Verona e Inter.

Proprio lo scudetto storico con il Verona nella stagione 1984-85, fu l’apice della carriera di Fanna, un ala destra che molto spesso giocava anche a sinistra con incursioni prepotenti e avvincenti che seminavano lo scompiglio nelle retroguardie avversarie. Giocò anche come seconda punta.

Pierino Fanna è nato a Grimacco il 23 giugno 1958 ed è stato un calciatore e un ex-allenatore di calcio. Iniziò la sua carriera nell’Atalanta, dove fece 55 presenze e 6 reti. Per poi passare nella stagione 1977 alla Juventus. Ove giocò fino al 1982, con 101 presenze e 13 goal: 3 scudetti (1977-1978, 1980-1981, 1981-1982) e una Coppa Italia ( 1978-1979) vinti. Nella stagione 1982-83 fu acquistato dal Verona di Bagnoli, appena promosso in serie A. Il tecnico milanese, lo mette in campo, come abile contropiedista, ed un Verona stellare, vince lo storico scudetto del 1985. Nella città scaligera, Fanna mette assieme 85 presenze e 14 goal. La stagione successiva passa all’Inter. Qui ci rimane 4 anni (1985-1989) vicendo lo scudetto dei record di Giovanni Trapattoni, nel 1988-89. Nella squadra neroazzurra si contano 97 presenze e 4 reti. Torna al Verona di Bagnoli, nel 1989 fino al 1993, con 103 presenze e 6 reti. Una retrocessione e una promozione in serie A.

Con la nazionale maggiore totalizza 14 presenze.

Ecco alcune sue ultime dichiarazioni estrapolate dal quotidiano “La Repubblica”.

IL NOME. «Io mi chiamo Pierino. Non so perché sulle figurine Panini ci fosse “Pietro”. Nella Juve con me giocavano però Pietro Anastasi e Pietro Paolo Virdis, quindi forse, con tutti quei Pietro, la Panini si confuse. Io comunque sono Pierino, sia per gli amici che per l’anagrafe».

I “VECCHI TEMPI”. «Quando giocavo io c’era una preparazione atletica rudimentale, si andava per esperimenti, mentre oggi si curano di più i giocatori. All’epoca poi a trent’anni eri vecchio, mentre oggi si va avanti di più. Il mio ritiro? Non giocai in squadre minori perché non mi piaceva l’idea di scendere di categoria: avevo già provato una retrocessione (89/90, ndr), e non mi era piaciuta…».

IL CALCIO MODERNO. «Credo che un’impresa come quella del Verona 84/85 sia irripetibile: il divario con le grandi società è quasi impossibile da colmare. Poi ci sono le schegge impazzite come il Leicester, ma devi puntare sulle disgrazie sportive delle “big” mentre a te deve andare davvero tutto per il verso giusto».

BAGNOLI E TRAPATTONI. «Mister Bagnoli mi capiva anche dal punto di vista umano e mi faceva giocare e sentire apprezzato. Ero nei suoi schemi e con lui fui eletto miglior ala del campionato per tre anni. Quando andai all’Inter ritrovai Trapattoni, con il quale ero in conflitto dai tempi della Juventus. Mi toglieva quando eravamo in vantaggio per inserire un difensore o un centrocampista… Con il senno di poi sarebbe facile dire che ho sbagliato a trasferirmi, ma la vita non funziona così».

GLI ALLENATORI DI OGGI. «Ho provato a fare l’allenatore, ma nonostante avessi tutti i patentini non ho continuato perché mi piace troppo la libertà. E poi il mestiere del tecnico è cambiato troppo rispetto ai miei tempi: basta pensare a come dirigono la squadra durante la partita, urlando per novanta minuti. È una cosa che mi stupisce ogni volta perché se uno prepara bene le partite non ha senso che poi si sbracci per tutta la gara. Ai miei tempi meno l’allenatore parlava e gesticolava, meglio giocavamo. Bagnoli per esempio parlava pochissimo, perché sapevamo già cosa fare».

Alessandro Lugli


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