Mancini, la vittoria è solo tua

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Mai come in questa occasione, i meriti per la vittoria di un trofeo portano il nome e un cognome di una singola persona: Roberto Mancini. Sì, perché questo non è stato il trionfo di un movimento calcistico, ma di un solo uomo che da solo si è messo sulle proprie spalle un’intera nazionale di calcio, portandola a dei livelli insperati dopo la catastrofe (sportiva) delle qualificazioni mondiali. Mancini ha vinto grazie al gioco che ha avuto il coraggio di proporre, grazie a un gruppo unito e coeso che lui stesso ha plasmato. La sua rosa si è trasformata in un gruppo di amici pronti ad aiutarsi sempre e comunque, e questo, in una competizione del genere, è la fortuna più grande.

Parte tutto da lui, da Roberto, che si è circondato di persone a lui care, alla quale avrebbe affidato anche la sua vita se fosse stato necessario, a partire dal suo fratello calcistico, Gianluca Vialli. Insieme a loro: Oriali, Evani, Salsano, Lombardo, De Rossi; tutti uomini di campo, gente che ha gli attributi per affrontare sfide del genere, una famiglia ancor prima che uno staff.

Mancini, la sua rivoluzione, l’ha iniziata fin dai primi mesi, quando ha convocato un giovane che non aveva ancora esordito in serie A, come Nicolò Zaniolo, affidando le redini del suo centrocampo a due ragazzi che giocavano al Cagliari e al Sassuolo, come Barella e Sensi. Con queste mosse ha mandato un chiaro messaggio ai club italiani: il talento, nei ragazzi italiani, è vivo, siamo noi che dobbiamo coltivarlo. Purtroppo è stato ascoltato solo in parte, perché oltre al già citato Barella e i vari Donnarumma, Chiesa, Bastoni, e Kean (tutta gente che ha comunque già compiuto almeno 21 anni ) c’è ben poco tra le nuove leve. E a prova di questo abbiamo le deludenti spedizioni europee dei nostri club, che nell’ultima stagione ha visto solo la Roma arrivare fino alla semifinale di una delle due manifestazioni continentali, non a caso quella meno importante.

Roberto Mancini, per quanto immenso, non può fare tutto da solo. La speranza è che questo europeo venga visto come un punto di partenza e non di arrivo. Sederci sugli allori, come accaduto nel 2006, sarebbe un errore enorme. Le istituzioni dovrebbero approfittare di questo ritrovato entusiasmo per incentivare alle costruzioni di stadi moderni, di strutture all’avanguardia per i settori giovanili. Gli allenatori italiani, anche i più titolati, dovrebbero prendere da esempio il lavoro svolto da Mancini, che ha dimostrato, che anche in Italia, un calcio diverso, una calcio offensivo, è possibile.

Mancini la rivoluzione l’ha iniziata, adesso sta a tutto il movimento proseguirla con determinazione e voglia, altrimenti, questo titolo europeo, rischia di essere solamente un fuoco di paglia. Salviamo il soldato Roberto.


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