Italia-Polonia 1-1. Mertens contento di Ancelotti. Goleade di Brasile, Venezuela e Argentina

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Per la prima partita ufficiale sulla panchina dell’Italia, nella neonata Nations League dell’Uefa, il ct Mancini si affida ad un 4-3-3 con Donnarumma in porta; in difesa Zappacosta, Bonucci, Chiellini e l’esordiente Biraghi al posto dell’acciaccato Criscito; a centrocampo partono Jorginho, Gagliardini e Pellegrini; in attacco il tridente composto da Bernardeschi, Insigne e Balotelli. Nella Polonia, Brzeczek lascia in panchina quattro giocatori che militano in Italia (Szczesny, Milik, Piatek e Linetty). In difesa c’è il sampdoriano Bereszynski, in avanti Zielinski alle spalle di Lewandowski unica punta.

Comincia con un pari casalingo (1-1) con la Polonia l’avventura dell’Italia di Mancini in Nations League. Gol di Zielinski per i polacchi e pareggio di Jorginho (primo gol in Nazionale) su rigore a un quarto d’ora dalla fine. Non una bella partita per l’Italia: malissimo il primo tempi, un po’ meglio la ripresa. Il tridente di Mancini (Bernardeschi, Balotelli e Insigne) non funziona. Mario appare fuori forma e con qualche problema fisico. Troppi gli errori dell’Italia in uscita. La Polonia colpisce in contropiede. Donnarumma ci mette due grosse pezze, ma alla terza capitola: cross da sinistra di Lewandowski e sberla di Zielinski al volo. Nella ripresa, i cambi funzionano e l’Italia gioca meglio. Il pareggio e’ meritato: lo conquistano Bonucci con un grande recupero e un’imbucata per Federico Chiesa abbattuto in area pokacca. Jorginho trasforma. L’Italia ci prova ancora, ma il pareggio e’ scriito. Ora, nel girone a tre di Nations League ci tocca (lunedi’ 10) il Portogallo a Lisbona. Non ci sara’ Ronaldo, ma giocando cosi’ non si va lontano.

Nello stadio in cui 37 anni fa fece il suo esordio in Serie A, Roberto Mancini è entrato e uscito tra gli applausi di un pubblico che lui stesso ha voluto applaudire a fine partita. Il Ct, al debutto in una competizione ufficiale dopo le tre amichevoli con Arabia Saudita, Francia e Olanda, ha voluto ringraziare i tifosi per l’affetto nei suoi confronti e per il calore con cui hanno spinto la sua Nazionale. “Era la prima partita importante – le sue prime parole dopo il fischio finale del tedesco Zwayer – mi aspettavo una gara complicata e qualche errore ci può stare, ma nel complesso i ragazzi hanno fatto bene. Nel primo tempo abbiamo commesso qualche errore tecnico di troppo e non dobbiamo farlo, poi nella ripresa i ragazzi sono stati bravissimi, abbiamo giocato benissimo contro una squadra che era più collaudata di noi”. Balotelli è stato contenuto bene dalla difesa polacca, non è ancora al meglio della condizione ma il Ct crede in lui: “Mario ha bisogno di giocare. È un attaccante esperto, di spessore internazionale, deve solo trovare la migliore condizione”. L’ingresso di Chiesa ha dato vivacità alla manovra della Nazionale e non a caso da un’incursione dell’attaccante Viola è nato il rigore del pareggio: “Federico ha fatto bene quando è entrato, è l’unico in questo momento che ha lo strappo nella corsa lunga e credo possa fare ancora meglio. Ci sono tanti ragazzi su cui dobbiamo puntare per il futuro e che hanno dimostrato il loro valore nel secondo tempo”. Lunedì con il Portogallo spera di vedere l’Italia del secondo tempo: “Dovremo cercare di fare risultato, sicuramente faremo dei cambi perché 72 ore per recuperare sono poche”.

 

Spettacolo e gol, nelle amichevoli notturne che si sono disputate in sudamerica. Hanno vinto le tre big, e a suon di gol: Brasile, Argentina e Uruguay. La ‘Celeste’ ha strapazzato a Houston (Texas) il Messico per 4-1, con gol di José Gimenez, doppietta di Suarez e poker di Maxi Pereira. Per i latino-americani il punto è stato firmato da un altro Gimenez, Raul, su rigore. L’Argentina del nuovo ct Scaloni, sia pure priva di Messi e di altri mostri sacri (Icardi e Dybala erano in panchina), a Los Angeles ne ha fatti tre al Guatemala: di Martinez, Lo Celso e del fiorentino Giovanni Simeone le reti del successo. Nel New Jersey, il Brasile di Tite ha battuto 2-0 gli Stati Uniti, con i gol di Firmino e Neymar su rigore. Hanno vinto anche la Colombia (2-1, con Falcao in gol), contro il Venezuela, e l’Ecuador (2-0), contro la Giamaica.

 

 

Non bastava la delusione per la sconfitta di Genova, i tifosi del Napoli sono tornati a protestare per i prezzi imposti per la gara contro la Fiorentina, in programma il 15 settembre. Le curve a 35 euro non sono piaciute agli ultras che hanno esposto uno striscione (“Vogliamo il settore popolare”) all’esterno dello stadio San Paolo. La guerra di nervi tra il club e gli ultras continua, quindi, in un match che potrebbe anche vedere l’esordio del sindaco di Napoli Luigi de Magistris in curva. Per ora non ci sono conferme della sua presenza visto che l’anticipo alle 18 del sabato potrebbe collidere con suoi appuntamenti politici e far rimandare il suo ‘esordio’. Intanto oggi Carlo Ancelotti ha ritrovato a Castel Volturno i ‘superstiti’ dalle nazionali (sono 14 quelli partiti), godendosi le buone notizie che riguardano Ghoulam che oggi è tornato ad allenarsi con il pallone e dovrebbe rientrare in gruppo entro fine mese.

 

 

L’ex tecnico del Napoli si è seduto sulla panchina del Chelsea con cui ha iniziato alla grande la nuova stagione di Premier League. L’allenatore toscano, intervistato da Il Mattino, ha raccontato le sue sensazioni riguardo alla nuova esperienza senza però dimenticare quanto fatto a Napoli ammettendo di ripensare spesso alla scudetto mancato davvero di un soffio: “Qui è totalmente diverso: è una festa assoluta, è un piacere arrivare negli stadi e vedere i tifosi con le maglie diverse che prendono una birra assieme”. “Com’è l’Italia vista da lontano? Così com’è vista da vicino, piena di problemi. Però quando siamo lontani, scatta un po’ di nostalgia e qualcosa ci manca sempre. Più di tutto il cibo”.

“Mi capita di ripensare a quel Fiorentina-Napoli. Sarebbe stato il coronamento di una storia straordinaria, di un sogno mio, della squadra e di tutta la città. Qualcuno ha fatto ironia sulle mie parole, ma chi ha fatto sport sa che abbiamo perso lo scudetto in albergo”. “Può riuscire a portare il Napoli al trionfo? Lo spero per la città, per i tifosi. Napoli è una città straordinaria, merita di vincere lo scudetto. Io da tifoso del Napoli sono contento che sia Carlo ora a fare l’allenatore perché non solo ha vinto ovunque è stato, ma si è fatto voler sempre bene da tutti”.

“Ero a cena con Pompilio, il collaboratore di Giuntoli, con cui stavo discutendo proprio se restare o no. Abbiamo acceso la tv e abbiamo visto l’ingresso alla Filmauro di Ancelotti”. C’erano dei motivi per cui volevo rimanere al Napoli e c’erano dei motivi per cui avevo delle perplessità. Il contratto che ha voluto il presidente prevedeva una clausola rescissoria con scadenza 31 maggio e invece il 21 maggio hanno fatto il contratto ad Ancelotti”. “A De Laurentiis sono grato perché mi ha fatto allenare la squadra che ho nel cuore, se sono qui al Chelsea è perché ho allenato il Napoli. Per il resto il De Laurentiis a cui voglio bene è sicuramente il figlio Eduardo”. “La cessione di Higuain? Era un campione affermato e con me, che arrivavo dall’Empoli dove ero una specie di signor nessuno, si è messo senza esitazione e con semplicità a disposizione: non è vero che ha tradito Napoli, ha voluto lasciare Napoli perché il presidente del Napoli era De Laurentiis”.

“Nulla è stato più bello che vincere allo Juventus Stadium. Una notte unica. A livello umano l’amore di ogni giorno dei napoletani nei miei confronti”. “Cosa vorrei dimenticare? Le parole di De Laurentiis al Bernabeu dopo la gara con il Real Madrid. Non ho mai snobbato, ho sbagliato solo una partita, quella di andata con il Lipsia, che ci è costata la qualificazione. Ma era obbligatorio fare tutti quei cambi perché il sogno del gruppo e della città era lo scudetto”.

AUGURIO – “Siete dei ragazzi straordinari, continuate così perché ce la potete fare a conquistare quel sogno che abbiamo sfiorato”. “Sogno? Può essere l’obiettivo concludere la carriera al Napoli. Ma prima voglio rimanere al Chelsea, in questo splendido club, ancora per tantissimo tempo. Qui è tutto stupendo, non c’è nulla che non vada bene. Un sogno allenare questo club”.

 

 

Instancabile Pibe. Diego Maradona continua il suo particolarissimo giro del globo in panchina. La nuova avventura avrà come sfondo il Messico e precisamente il Club Social y Deportivo Sinaloa, società di Cullacan, nella parte nordoccidentale del paese. L’argentino, 57 anni, ha accettato di assumere la guida della squadra militante nella seconda divisione messicana e sprofondata al 13° posto in classifica. L’ufficializzazione dell’arrivo della leggenda Albiceleste giunge a poche ore dall’addio del precedente tecnico, il messicano Francisco Ramirez. Una proposta, quella del club dove Pep Guardiola chiuse la sua carriera da giocatore, che ha entusiasmato El Diez, almeno a quanto dice il presidente Jorge Alberto Hank a Espn. “Convincerlo è stato più facile di quanto pensassi”, ha svelato. “Vorremmo che Diego restasse con noi per l’attuale e la prossima stagione”. Chissà: con un personaggio fuori da ogni schema come Maradona, capace di far parlare di sé praticamente ogni settimana, tutto è possibile.

Solo tre mesi fa l’ex attaccante del Napoli era stato nominato presidente e allenatore della Dinamo Brest, formazione militante nel giovane campionato bielorusso. Accolto – c’è bisogno di dirlo? – come il messia da stampa e tifosi locali, l’argentino si era regalato una dimora da sceicco dal valore di 20 milioni di euro. Ma la Bielorussia non è già un ricordo: nonostante il nuovo incarico Maradona resterà presidente onorario della società dell’Est Europa, ha precisato il suo avvocato Matias Morla. Ora però, ha aggiunto, “una nuova sfida attende Diego, felice di poter tornare ad allenare”. E chissà se nella scelta del Messico abbia influito il dolce ricordo del leggendario Mondiale 1986, quello della ‘mano de Dios’ e del trionfo dell’Argentina trascinata dalle magie del suo Diez. Certo, non mancano le ironie di chi ricorda che lo stato di Sinaloa, affacciato sulla costa del Pacifico, oltre che per le località balneari è celebre per essere sede di un potente cartello della droga, fondato dal celeberrimo ‘El Chapo’ Guzman. Anche se il rapporto con i messicani non è sempre stato idilliaco: lo scorso giugno, il Pibe li ha fatti infuriare sostenendo che il paese non meritava di ospitare il Mondiale 2026.

Tutto perdonato, per ora. Maradona ripiomba nel calcio latino dopo le non esaltanti esperienze nei paesi arabi. Nel 2011 volò a Dubai, ingaggiato dall’Al-Wasl con uno stipendio da 5,5 milioni di euro a stagione e parecchi benefit, compreso un jet privato. Durò appena un anno: i contrasti con dirigenza e giocatori sfociarono nell’esonero. Dopo una ‘pausa’ di cinque anni, nei quali tra le altre cose Maradona tentò senza successo la scalata alla Fifa, la chiamata dell’Al-Fujairah, club di seconda divisione degli Emirati Arabi. Maradona mancò la promozione alla Serie A locale e lasciò. Non mancarono le polemiche: si disse che l’argentino, per restare, avesse chiesto un ingaggio quadruplicato.

Inutile sottolineare che l’esperienza più importante da allenatore, carriera dove – al contrario di quella, unica e inimitabile, da giocatore – non è mai riuscito a decollare, Maradona l’ha vissuta alla guida della sua amata Argentina. La sua gestione iniziò nell’ottobre 2008, dopo le dimissioni di Basile. Sotto la sua gestione, la Seleccion strappò la qualificazione per il Mondiale 2010 solo grazie al gol di Palermo nella celebre sfida con il Perù: ma fuori dal campo e fu una quotidiana guerra tra il ct e la stampa che metteva in dubbio le sue qualità da allenatore. In Sudafrica l’Albiceleste partì bene, collezionando tre vittorie e il passagio ai quarti contro il Messico, prima di essere eliminata dalla Germania. Lì si concluse l’avventura da ct del Pibe, non quella da allenatore, una delle sue molteplici vite.

 

L’attaccante del Napoli, D. Mertens, adesso in ritiro con il Belgio, ha affrontato, nel corso di un’intervista ai microfoni dell’emittente del suo paese RTBF, la sua attuale situazione all’interno della rosa partenopea: da pedina fondamentale con Sarri, il belga si è ritrovato messo in discussione, con qualche sostituzione di troppo. Ma l’attaccante minimizza. “Con l’arrivo di Ancelotti, non mi sento una riserva e nemmeno riparto da zero. All’allenatore piace il mio modo di giocare, abbiamo già parlato della situazione. Onestamente penso che in questo inizio di stagione non fossi pronto a giocare 90 minuti”, ha spiegato Mertens, giustificando il tutto più con una mancanza di condizione fisica che con una scelta tecnica. “Quando sono tornato dal Mondiale, ho detto ad Ancelotti che mi sentivo stanco. Ho parlato con lui e ha capito la situazione. Sono arrivato in ritiro più tardi dopo il Mondiale, e dopo una competizione simile non è facile ritrovare immediatamente la forma fisica perfetta. Sono comunque contento di come sto recuperando e sono sicuro che le cose cambieranno presto”.

 

 


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